Per chi ha giocato per strada, l’essenza del calcio sono ginocchia perennemente “sbucciate”, magliette sporche perché spesso utilizzate per fare da “pali” della porta, e decine e decine di palloni bucati, persi, o perché no alle volte addirittura “sequestrati”. Il principale segreto della diffusione a livello planetario di questo sport è l’estrema semplicità e l’adattabilità a qualsiasi luogo. Così si gioca dagli oltre 5000 metri della capitale della Bolivia La Paz, al ghiaccio dell’Islanda, fino al Vesuvio in Italia.
Proprio in Italia esistono le prime testimonianze di uno degli sport più vicini e di conseguenza antenati del calcio, il cosiddetto “calcio storico fiorentino”. Deriverebbe direttamente dal gioco praticato nell’antica Roma dal nome Harpastum, a sua volta ispirato al gioco greco sferomachia, ne parla addirittura Svetonio in una lettera. Il calcio storico fiorentino era, o meglio “è” in realtà perché è tutt’ora praticato, un misto fra rugby, calcio, ma anche lotta e corsa. C’era la possibilità di strappare il pallone con le mani all’avversario, e i calcianti, i partecipanti alla partita, erano per lo più nobili divisi in due squadre e vestiti di sfarzose livree, da qui l’altro nome dato a questo sport che è calcio in livrea, oltre a calcio in costume.
Cenni di questa disciplina se ne hanno già da fine 1300, e per motivi di ordine pubblico dovettero essere regolamentate le partite “spontanee”, e le piazze diventarono il primo rudimentali campo da gioco per questo sport. Il regolamento, scritto con solennità e precisione da de`Bardi nel 1580 riassumendolo il 33 “Capitoli”, prevedeva ben 27 calcianti, divisi per ruolo, ad esempio gli Sconciatori e i Datori, che dovevano essere rispettivamente in cinque e sette unità.